Cos’è la metafisica? A tal proposito si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto, la filosofia ha costruito un monumento intorno a questo concetto la cui etimologia è letteralmente “oltre la fisica”, lo studio di quei principi che vanno al di là del mero sensibile e fanno cogliere una realtà immateriale, composta di elementi che attengono al pensiero puro, eviscerato della materia e colto nella sua essenza più piena.
Quali sono i mezzi che consentono di accedere a questa dottrina dell’universale o scienza dell’assoluto? Uno è sicuramente la geometria.
Nel percorso filosofico tutti i più autorevoli pensatori hanno tenuto in grande considerazione la struttura rigorosa e razionale della disciplina in questione, ritendo che non si trattasse di una semplice rappresentazione dello spazio o una forma più o meno esatta di misurazione, ma è qualcosa di molto più profondo e penetrante.
Un riscontro immediato ed evidente lo si trova nel filosofo che viene definito metafisico per antonomasia: Platone. Nella porta della sua Accademia, infatti, campeggiava la seguente scritta: “NESSUNO ENTRI CHE NON SIA GEOMETRA”.
Ebbene, nella produzione artistica di Guido Falconi la componente geometrica assurge a un ruolo fondamentale nel penetrare gli elementi metafisici alla stregua del filosofo ateniese. L’opera per eccellenza che ricalca l’approccio platoniano, è innegabilmente “Geometria Sacra”, dove il triangolo che risalta nella scena fa pensare immediatamente a una forma perfetta e a delle leggi che, fatalmente, la accompagnano, rimandando ovviamente all’idea intesa come perfezione secondo l’espressione più alta della metafisica di Platone.
In buona sostanza la matematica, presa nella sua forma spaziale che è la geometria, non può essere considerata portatrice di innovazione, ma di certo è la prova più evidente dell’esistenza del mondo delle idee, ponendo chi si mette alla ricerca in stretta relazione con la dimensione soprasensibile, ossia con quei principi immutabili ed eterni.
Guardando l’opera con una prospettiva filosofica, il triangolo non è altro che la chiave di accesso al mondo iperuranico, mentre l’occhio è colui che si pone come principio inquirente, non passivo, che si predispone alla comprensione di ciò che sta “oltre” nel tentativo di accedere a livelli di conoscenza superiori.
“Geometria Sacra” ha il compito e il merito di guidare lo spirito verso verità immateriali e trascendenti, predisponendo la mente a un “habitat filosofico” tale che ogni pregiudizio verso ciò che non si vede possa essere rimosso, costituendo in ciò il presupposto fondamentale per la comprensione dell’arte in chiave filosofica.
Si potrebbe tranquillamente asserire che il quadro in questione è un contributo fondamentale dato da Falconi nella costruzione di un’arte geometrica, teorizzando la dottrina ontologica delle figure organizzate razionalmente quale condizione intermedia tra il sensibile che rappresenta la molteplicità del divenire e la perfezione dell’idea nel suo presupposto di immutabilità.
L’occhio collocato sopra la sagoma umana simboleggia la dimensione catartica che si acquisisce nel momento in cui si abbraccia la visione filosofica, per avere una prospettiva privilegiata e gnoseologica bisogna elevarsi con lo sguardo e discernere ciò che è sacro da ciò che è profano.
Falconi si rende conto che la condizione del mondo è del tutto inadeguata nel campo delle conoscenze e delle competenze e prospetta una rifondazione tale che l’uomo possa riappropriarsi di ciò che gli occorre per far sì che l’esistenza abbia un senso e, tutto sommato, possa anche migliorare la qualità della vita; per giungere a questo è necessario abbandonare la visione profana e immergersi in quella sacra, l’unico vero momento che restituisce alla condizione umana quella dignità che le compete come abitante privilegiato del cosmo.
La status di precarietà e di disagio in cui si trova immerso il genere umano, si evidenzia in tutta chiarezza nell’opera “Simbologia Sacra” dove lo sparpagliamento dei triangoli non è altro che il disordine, la condizione profana e d’ignoranza raggiunta dagli individui in epoca contemporanea, suggellata dal punto interrogativo che sembra dire in tono di ammonimento:
“Cosa sta succedendo? Perché siete arrivati a questo?”
Se oggi l’uomo si sente tronfio e sicuro di sé, se siamo arrivati a un punto nel quale si ritiene di non dover rendere conto a nessuno, il quadro sta a ricordarci il contrario, poiché solo attraverso una profonda revisione del proprio essere e del proprio pensiero che ne esprime lo statuto antropologico, l’umanità tende al riscatto di se stessa passo dopo passo, tappa dopo tappa, consapevole che ogni progresso non è altro che un piccolo stato di avanzamento a fronte del quale vi è un percorso lungo e difficile da compiere.
Un altro messaggio forte e irriducibile lo si può vedere nel prodotto artistico intitolato “Firenze”, momento in cui la geometria sembra assumere una componente analitica con la struttura curva a forma di parabola la cui sagoma rappresenta innegabilmente un ponte.
Nella simbologia in questione appare chiaro che, il percorso di accesso a livelli di conoscenza superiori, quell’approdo a cui abbiamo dato il nome di metafisica, non può essere attuato in modo semplicistico e grossolano, sarebbe una caricatura della conoscenza vera, tuttavia il cammino può compiersi fissando dei punti fermi sui quali è possibile avere dei riferimenti nel momento stesso in cui si decide di percorrere il tragitto, cercando di connettere i propri postulati a una dimensione più grande che potrebbe definirsi semplicemente come totalità, nella quale si giunge prima transitando nella tappa intermedia identificabile come “dianoia” (conoscenza razionale intermedia), per poi approdare alla conoscenza vera intesa come “episteme” (sapere rigoroso e fondato), edificando una meta-scienza (appunto metafisica) dove si coglie l’essere nella sua interezza dedotto attraverso i vari passaggi geometrici, il che, senza sconfinare nella presunzione, vuol dare un senso all’esistenza, da qui l’esigenza di riorganizzare in modo composito e organico la realtà, adattandola al vero sapere e conferendole un valore teleologico.
Se si osserva con attenzione l’opera “Firenze”, la parabola concava che spicca al centro del disegno non è altro che l’elemento divisorio tra ciò che è al di sotto simboleggiante la materia grezza, il profano che comunque si predispone ad apprendere, a cui si contrappone la forma più alta dello spirito, appunto la città che dà il nome all’opera, il luogo fisico che più di tutti ha dato lustro al mondo in campo artistico, letterario, filosofico e architettonico; la divisione appare marcata tra sensibile e soprasensibile, tra materia e spirito, tra tangibile e immateriale.
La stessa figura parabolica la si ritrova in forma convessa nel dipinto “Alba”, il titolo non è casuale perché è una chiara metafora di chi si appresta a compiere il cammino, l’alba di una nuova vita che si abbraccia nel momento in cui si abbandona lo stato di ignoranza per predisporsi a una dimensione conoscitiva che conduce l’uomo alla pienezza esistenziale nella sua forma più ampia.
D’altronde, le figure amorfe ritratte sono l’emblema della sostanza anodina, potenziale, che si appresta ad attualizzarsi attraverso il processo del divenire, in un sinolo inscindibile volto all’evoluzione e alla realizzazione dell’essere che prende coscienza di essere approdato alla gnosi.
La produzione di Falconi si potrebbe espletare con la seguente formula di spinoziana memoria: MORE METAPHISICA GEOMETRICA DEMONSTRATA.
Che vuol dire se si trasporta nella visione delle opere dell’artista? Semplicemente che alla metafisica vi si accede tramite la geometria, parafrasando un’altra massima filosofica di spessore: PINGO, ERGO SUM.
Proseguendo nella disamina ci si imbatte in “Equità”, dove emerge perentoriamente la figura del triangolo equilatero come espressione dell’approssimarsi al divino, ciò presuppone l’armonia, l’equilibrio, la proporzione, una figura che si può comprendere solo in funzione dei suoi rapporti con le altre figure geometriche.
Non bisogna dimenticare che tre è il numero indicante la perfezione e in tutte le dottrine tradizionali è l’espressione del ritorno all’unità primordiale, in altre parole, un ricongiungimento col divino, un percorso trascendente che punta all’unione tra microcosmo e macrocosmo, il Tetraktys pitagorico, il molteplice che ascende all’Uno.
Se si vuole interpretare la figura secondo il linguaggio dell’alchimia, il triangolo si colloca nell’ordine delle figure chiuse, in una dimensione intermedia tra cerchio e quadrato, ossia un’entità intermedia tra la sostanza quasi astratta, ovvero spirituale, e la materia che ricade invece sotto i nostri sensi.
Ogni forma di vita avviene attraverso la divisione, così da una prospettiva antropica l’uomo corrisponde ad un Triangolo equilatero diviso in due, cioè ad un Triangolo rettangolo.
La meta naturale si raggiunge in Konsu, la divinità ultima antropomorfizzata dell’Assoluto, il punto d’arrivo che vede l’uomo alla fine del suo percorso, ove l’ignoranza viene prima arrestata e poi risolta, in una dimensione definitiva, metafisica appunto, in cui la visione del mondo diviene “sub specie aeternitatis”.
Manuela Zappacosta